mercoledì 16 gennaio 2013

Perchè i francesi devono guardare verso l’Italia


Pourquoi les Français doivent regarder vers l'Italie

di Romain Gubert
Pubblicato in Francia il 10 gennaio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli



Un uomo politico che i francesi non voterebbero mai perchè italiano. Si tratta di Mario Monti.
Questo serio tecnocrate dalle eterne cravatte blu e gli occhiali poco appariscenti ha ingannato ben bene il suo mondo. Colui che gli italiani chiamavano il “Professore” sta diventando piano piano “Super Mario”.
Torniamo indietro nel tempo. Monti è stato chiamato poco più di un anno fa alla guida del suo Paese sull’orlo del fallimento, per rimediare alla catastrofe causata da Berlusconi, con questa promessa: “Faccio un po’ d’ordine e poi ciao”.
Di fatto oggi è in corsa per guidare il prossimo governo dopo le elezioni legislative che avranno luogo nel mese di febbraio. Ha creato una grande coalizione attorno al proprio nome, con un programma che si riassume in un paio di parole: “lacrime e sangue”.
In breve si tratta di continue dolorose riforme. Non ha la vittoria in tasca in Italia, dove misure di austerità e guerra alla frode fiscale sono d’obbligo. Ma i francesi hanno tutto l’interesse a guardare il cammino intrapreso da quest’uomo.

Perchè bisogna volgere lo sguardo all’Italia?Perchè la fonte d’ispirazione alle sue riforme, Mario Monti è andato a pescarla… proprio in Francia. Monti faceva parte della commissione Attali, istituita nel 2007 da Nicolas Sarkozy per “dare il via alla crescita”. Ricordate: questa commissione di esperti e periti ha stilato una lista di quasi 200 motivazioni che bloccavano l’economia francese. Tra le quasi 200 proposte formulate da Attali veniva anche sollecitata la liberalizzazione delle professioni privilegiate, ad esempio i tassisti, i notai, i farmacisti, passando per la domenica lavorativa, la “flessibilità” del mercato del lavoro o la fine dei contratti a tempo indeterminato.
E nel momento in cui Monti ha tracciato l’itinerario del suo viaggio ha semplicemente ripreso i lavori di questa commissione di cui è stato uno dei pilastri.
Se vogliamo essere onesti non tutto ha funzionato. Per esempio i tassisti: Monti ci ha sbattuto il muso. E oggi le tariffe dei taxi italiani sono più alte di un anno fa. Proprio come in Francia, dove Sarkozy non è riuscito a tener testa più di una giornata alle loro manifestazioni di protesta, anche Monti non è riuscito a spuntarla nella lotta contro i tassisti. Ma altre riforme altrettanto significative per l’economia del paese cominciano a produrre i loro effetti. L’Italia non è più sotto il fuoco dei mercati. E qualcuno in Francia, ormai sogna un “Monti francese” per far uscire il Paese dalla recessione.

Cioè?Anche se non viene detto apertamente, alcuni desiderano seriamente interpretare questo ruolo. Tra i vari personaggi mi viene in mente Christine Lagarde per la destra, rinvigorita dopo il disastro nell’ UMP [partito politico conservatore francese di Sarkozy, N.d.T.]. La cerchia dell’ex ministro di Sarkozy ha manifestato chiaramente l’auspicio che dopo il FMI, la Lagarde ritorni a fare politica. Per lo schieramento a sinistra penserei a Pascal Lamy, che tra qualche mese lascerà il suo incarico all’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Ma ce ne sono molti altri che possono interpretare il ruolo del tecnico che risolleva il Paese.
E’ bastato vedere qualche settimana fa un incontro molto parigino, nel grande auditorium di Scienze Politiche a Parigi, dove Mario Monti ha spiegato il suo programma in Italia. Era presente un esercito di imprenditori francesi, amici di François Hollande, intellettuali della destra …
Erano tutti in brodo di giuggiole alle parole di Mario Monti, sognando di poter scopiazzare le ricette di “Super Mario” per metterle in pratica poi in Francia.

venerdì 11 gennaio 2013

La nuova sfida di Mario Monti

Italie: le nouveau défi de Mario Monti

Di Christian Makarian
Pubblicato in Francia il 10 gennaio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

In vista delle elezioni politiche di febbraio, il Presidente del Consiglio pare intenzionato a condurre una coalizione di centro, ma mentre Mario Monti è il candidato preferito di Bruxelles, le sue misure piacciono poco agli italiani.



E’ stato in qualche modo la speranza europea del 2012 e ci offre un bis nel 2013. Dopo aver annunciato le sue dimissioni provocando accese reazioni nel dicembre scorso, Mario Monti che presto compirà 70 anni, ha deciso di rimettersi in corsa senza esporsi in maniera diretta. Secondo un soggetto già collaudato, il « papa di transizione » ha preso gusto al potere. Nominato senatore a vita non può essere eletto in prima persona, ma non ha neanche alcun bisogno di farsi pubblicità. Basta semplicemente che un accordo politico porti il suo nome. Dopo qualche consultazione, a sorpresa, ha annunciato di volersi mettere a capo di una coalizione centrista in vista delle elezioni politiche anticipate del 24 e 25 febbraio. Ed ecco che l’ex commissario europeo, capo di un governo di tecnici negli ultimi tredici mesi, decide di scendere nell’arena politica italiana, che non è la più tranquilla.

Berlusconi che rappresenta in prima persona lo sfacelo dell’Italia, cerca di contenere la mitragliatrice giudiziaria di cui è obiettivo.
Lo fa con mille precauzioni oratorie, facendo ben attenzione di precisare che la frattura destra-sinistra « non riflette l’alleanza di cui l’Italia ha bisogno ». E a ragione. Al centro sinistra il Partito Democratico è dominato dalla personalità di Pierluigi Bersani; la creazione di un blocco di sinistra moderata poggia su delle alleanze e delle contropartite complesse, che presuppongono, tra l’altro, un rifiuto del programma liberale di Monti. In particolare le ambizioni personali di Bersani e di Monti sono lontane l’una dall’altra, anche se, questo è il bello della politica, i due personaggi saranno costretti a trovare un accordo reciproco per sconfiggere il comune avversario. In effetti a destra è ricomparso lo spettro Berlusconi. Il Cavaliere ha manifestato di nuovo la sua perversità facendo cadere il governo Monti con il ritiro dell’appoggio del suo partito, creato solo per scopi personali. La personificazione dello sfacelo italiano cerca di circoscrivere la mitragliatrice giudiziaria di cui è obiettivo. Cerca di sfruttare l’impopolarità del programma di Monti, ma cosa offrirà in cambio del rigore, lui il cui bilancio di governo è a noi tutti ben noto? In larga parte le elezioni si giocheranno attorno al desiderio di legittimità dello scabroso politico.


Monti vuole proseguire l’azione riformatrice iniziata più di un anno faLa Chiesa, che Berlusconi ha senza posa cercato di arruffianarsi alla ricerca di una sua personale moralità, attualmente invia sempre più segnali di appoggio a Mario Monti, cattolico praticante che gode delle reminiscenze della Democrazia Cristiana. Il papa in persona gli ha telefonato per gli auguri di buon anno e l’ Osservatore Romano ha scritto di vedere nella possibile rielezione del presidente del consiglio uscente la risposta alla “domanda di una politica di livello superiore”. Ma Monti più devoto alla Bocconi che al Vaticano, intende proseguire l’azione riformatrice iniziata più di un anno fa e che ha prodotto un certo risanamento alleggerendo la forte delusione. Questa è la sua sfida. Il deficit statale è passato da 63.8 miliardi di euro nel 2011 a 48.5 miliardi nel 2012, e non è poco. Potrebbe quindi assestarsi al 3% del PIL nel 2012 (contro il 4.5% in Francia), risultato che François Hollande spera di ottenere nel 2013. “Super Mario” è anche riuscito a far ridurre lo spread del suo paese rispetto ai mercati finanziari. Purtroppo il suo programma non piace agli strati popolari: nonostante voglia far abbassare di un punto le tasse, continuerà a tagliare drasticamente la spesa pubblica e prenderà misure competitive, ma socialmente dolorose.
Sono molte le ragioni che fanno di Monti il candidato preferito dall’Europa. Ma è davvero una carta vincente? La risposta del popolo italiano, che deciderà senza tener conto minimamente del parere di Bruxelles, di Berlino o di Parigi, darà alla fine la misura di ciò che un popolo pieno di debiti e messo alle strette è ancora in grado di sopportare. La scelta dell’Italia quindi ci riguarda da vicino.

sabato 5 gennaio 2013

In mancanza di idee per riconquistare l’Italia, Silvio Berlusconi grida al complotto

Faute d'idées pour reconquérir l'Italie, Silvio Berlusconi crie au complot

di Philippe Ridet
Pubblicato il 2 gennaio 2013 in Francia
Traduzione di Claudia Marruccelli


Silvio Berlusconi ha iniziato il 2013 così come aveva finito il 2012: in televisione. Comparendo a ripetizione su tutti i canali televisivi, nazionali e locali, di stato e privati, il magnate dei media ha intenzione di sfruttare appieno questo periodo prima che si apra ufficialmente la campagna elettorale, 45 giorni prima del voto previsto per il 24 e il 25 febbraio, quando sarà la par condicio a regolare la durata degli interventi televisivi di tutti i candidati. In base ad alcuni sondaggi a lui solo noti, ritiene che la sua offensiva mediatica abbia permesso al suo partito, il PdL, di riprendersi 4 punti passando dal 16% al 20% delle intenzioni di voto. E’ davvero pochino, dopo due settimane di sforzi quotidiani.
Questa potrebbe essere l’ultima campagna, quella di troppo, per l’ex Presidente del Consiglio, stretto nella morsa tra il PD, la lista “Monti” – appoggiata dall’ex Primo Ministro – e quella del comico e blogger Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle. La sua difficoltà si può riassumere in un’unica domanda: come inventare una nuova storiella, qualcosa di inedito da raccontare agli italiani, quando non è mai riuscito tutte le volte che lo hanno votato a tramutare in realtà i sogni che proponeva loro? Per quanto si sforzi, il Cavaliere non trova soluzioni.
La proposta di ritirarsi dalla campagna se Monti avesse accettato di guidare un ipotetico “partito dei moderati” che includesse il partito secessionista e anti-immigrati della Lega Nord era solo un’esca, che rivela le sue concrete difficoltà nel trovare una collocazione innovativa nella sua sesta campagna elettorale dal 1994, e forse anche un po’ di stanchezza.
 



Monti, “un tecnico che è diventato un leaderino”
La sua strana campagna è indice del suo imbarazzo. All’inizio ha tentato di giocare nuovamente la carta della lotta al “comunismo”, che gli aveva portato fortuna nel 1994. Ma la personalità del segretario Pierluigi Bersani, leader della sinistra, riformista e avvezzo all’economia di mercato, non si presta molto a questa mossa. Poi ha cercato di scaricare sull’euro le responsabilità di tutte le difficoltà del Paese: quest’euro “germanocentrico” la cui salvezza avrebbe imposto agli italiani una cura di rigore ingiustificata ai suoi occhi. In ultimo ha deciso di delegittimare Monti, “un tecnico diventato un leaderino tra tanti altri”, ma l’eco diffusa dai media per ciascuna delle misure adottate dal Professore smentisce per il momento questa analisi.
Costretto ad aggiustare il tiro della sua strategia di giorno in giorno, alla fine gli resta solo la teoria del complotto per attirare l’attenzione su di sé e coalizzare i suoi sostenitori. Stando a lui, la sua caduta nel novembre del 2011 sarebbe frutto di una congiura di palazzo in cui Mario Monti e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per assecondare interessi stranieri, avrebbero cospirato contro di lui.
I due devono fare attenzione, perchè Berlusconi ha intenzione di istituire una “commissione d’inchiesta” che faccia luce sulle loro responsabilità in una vicenda che secondo lui ha tutte le apparenze di un tradimento. Il Cavaliere non lo ha ancora annunciato, ma sembra pronto ad aggiungere a questa prima lista i nomi di Mario Draghi, Presidente della BCE, José Manuel Barroso e chissà, forse un giorno, anche quelli di Barack Obama, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Tutti colpevoli di aver avuto delle riserve sulla politica da lui adottata all’epoca.


Un fuoco d’artificio al giorno
Così facendo, Berlusconi finge di dimenticare che la fine del suo regno era stata apertamente annunciata dagli scandali che hanno riguardato la sua vita pubblica e privata, dagli attacchi del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, a cui sarebbero bastati solo tre voti per far cadere il Cavaliere nel dicembre del 2010, e dalle sconfitte elettorali in occasione delle amministrative del maggio 2011, quando il PdL ha perso il feudo di Milano a vantaggio della sinistra. Un bel po’ di argomenti che avrebbero dovuto essere un campanello d’allarme sulla fragilità della sua posizione.
Nel suo fortino di Arcore, cittadina della cintura milanese in cui possiede una sontuosa dimora, il Cavaliere ha deciso di sparare un fuoco d’artificio al giorno senza neanche tentare di concedersi un pizzico di coerenza, spiluccando nei programmi altrui alla ricerca di ciò che possa sembrargli innovativo. Da qui la sua proposta di limitare a due il numero dei mandati per i parlamentari, copiata pari pari da Beppe Grillo, il più accanito dei suoi nemici.
A questa difficoltà tattica si aggiunge una situazione intricata dal punto di vista strategico. La Lega Nord, alleata storica da vent’anni, rifiuta ogni alleanza con lui. Compromesso dagli scandali legati al suo fondatore Umberto Bossi, il partito, ormai guidato dall’ex Ministro degli Interni Roberto Maroni, ha intenzione di rifarsi la verginità all’interno della propria base elettorale dell’Italia del nord, dove governa già in Piemonte e nel Veneto, e per questo motivo è pronto a sacrificare qualche poltrona a Roma presentandosi da solo alle elezioni. Siamo ad una svolta.