venerdì 26 luglio 2013

Concorso Miss Italia: mai più sulla RAI, polemiche sulla televisione italiana


Élection de Miss Italie : la cérémonie n'est plus retransmise à la télévision publique, la télé italienne remise en question


di Sandra Lorenzo
Pubblicato in Francia il 19 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli per Il Fatto

La decisione della RAI con cui è stata annunciata l'intenzione di non trasmettere la settantaquattresima edizione del concorso di Miss Italia, a causa dei dati di ascolto in costante declino da alcuni anni, ha creato una polemica sul ruolo delle donne nella televisione italiana. Il Presidente della RAI ha motivato la decisione spiegando che il programma è "antiquato".
Il 15 Luglio, mentre il tema era ancora scottante, il Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, aveva definito la decisione della RAI come una "scelta moderna e civile". La rappresentante di SEL, in occasione di una conferenza sulla violenza contro le donne, ha dichiarato che alla televisione italiana "solo il 2% delle donne esprime pareri, parla. Il resto è muto, a volte svestito”.



"Donne mute in bikini, non c'è nulla di scandaloso"
La sua posizione riflette quella di molte donne, tra le quali Lucetta Scaraffia, storico e giornalista che ha pubblicato un editoriale sull'Osservatore Romano, il giornale del Vaticano. «Miss Italia è giusto lasciarla cadere nell'oblio che oggi merita» scrive secondo l'agenzia Apic.
Anche Ilaria Borletti, il Sottosegretario di Stato per la cultura, si schiera dalla parte di Laura Boldrini: "Negli ultimi 15 anni l’immagine della donna in televisione è stata man mano svilita e schiacciata, senza che venisse proposto un modello alternativo e più consono allo straordinario percorso che le donne in Italia hanno fatto nel lavoro, nelle professioni e nella società per affermarsi" riferisce il sito nouvellesnews.fr.
Alcuni politici non hanno perso l’occasione per difendere questo programma televisivo. Tra questi Gian Marco Centinaio, un rappresentante della Lega Nord (estrema destra) che non ha esitato a tracciare un parallelo con l'islam radicale. "Le donne hanno il diritto sacrosanto di mostrare orgogliosamente la propria avvenenza. Non c'è nulla di scandaloso né di scabroso in donne mute in bikini. Che cosa preferirebbe [Laura Boldrini]? Miss Burka?"
La creatrice del concorso ha provato a difendere il programma che riunisce "cinquemila ragazze che liberamente si sono iscritte e che partecipano - nè nude, nè mute - per conquistare quella visibilità che nessun altro evento mette loro a disposizione in maniera così seria e pulita. E’ in questa maniera che abbiamo permesso a numerose ragazze di lavorare oggi in Rai, nella moda e nella pubblicità " riporta nouvellesnews.fr. Ma il dibattito ha preso tutt’altra piega.
L'esposizione del corpo delle donne nella televisione italiana è un problema che agita la società da alcuni anni. Nel 2009, fece scalpore il documentario "Il corpo delle donne" di Lorella Zanardo. La giovane regista ha visionato 400 ore di televisione. Argomento: donne mezze nude che vengono palpeggiate sui glutei in diretta come se fossero dei prosciutti o parcheggiate in cubi di vetro a sorridere senza aprire bocca, come riportato da Slate.fr.
Scene di ordinaria televisione per i telespettatori italiani, ma che agli occhi di Laura Boldrini sono nient'altro che una "anomalia". "Altrove in Europa, dice, non c’è l'abitudine di utilizzare donne mezze nude per pubblicizzare yogurt, televisori, borse.
Queste bamboline sexy, che in italiano sono chiamate “Veline”, non possono pretendere molto di più che sposare un calciatore e quindi interrompere le attività di ballerine da lap dance in diretta. Nonostante siano ancora molto popolari, il malcontento inizia a crescere e si moltiplicano blog e gruppi su Facebook contro di loro. Simbolo dell'era Berlusconi, sono sopravvissute fino ad oggi, ma per quanto tempo ancora?
In Francia, il concorso annuale di Miss ha un futuro splendente davanti a sé. TF1 ha realizzato un record di ascolti lo scorso dicembre: la trasmissione è stata seguita da più di 8,1 milioni di telespettatori in media, ossia il 40% del pubblico...

mercoledì 24 luglio 2013

L’Italia perde i suoi gioielli di famiglia

Bye bye made in Italy, assalto ai grandi marchi

Articolo originale: "L’Italie perd ses bijoux de famille" - di Ariel Dumont apparso su fr.myeurope.infoTraduzione di Claudia Marruccelli per Il Fatto


Addio Riso Scotti, Chianti, Pasticceria Cova, salumi Fiorucci o latte Parmalat! L’Italia spalanca la sua cassaforte industriale e si lascia portar via i gioielli di famiglia. Marchi icone emblematiche della sua fama, nel corso degli ultimi vent’anni, la maggior parte dei suoi fiori all’occhiello sono stati ceduti a grandi gruppi stranieri, in particolare francesi come la holding LVMH.
LVMH si fa un regalo di cachemire

Il mese scorso, il gruppo della famiglia Pinault, che aveva già iniziato lo shopping transalpino nel 1999, appropriandosi di Gucci dopo altre etichette di lusso, ha fatto di recente un’offerta di acquisto per la Pasticceria Cova [di Milano ndt]. I dettagli dell’acquisizione non sono stati divulgati, ma l’affare potrebbe complicarsi. Il gruppo Prada, che sperava di unirsi in matrimonio con il gruppo Cova, si è rivolto alla giustizia italiana per richiedere l’annullamento della vendita. La prima udienza si terrà la prossima settimana. Continuando la sua campagna in Italia, la LVMH ha appena messo nel cestino della spesa anche il marchio del maglificio di cachemire Loro Piana. Costo dell’operazione per il gruppo francese: 2,4 miliardi di euro.

I francesi stanno depredando il settore agroalimentare italiano
Anche il settore agroalimentare è un bel bersaglio. Una buona fetta è finita anche nelle tasche dei francesi. A partire dal Gruppo Lactalis, che ha acquistato la Parmalat. Due anni fa, il gruppo francese Cristalco ha fatto suo il 49% del capitale sociale dei zuccherifici Eridania. Dall’inizio dell’anno hanno cambiato padrone altri tre importanti marchi. Prima Riso Scotti, che ha ceduto il 25% del suo capitale al colosso alimentare spagnolo Ebro Foods per un assegno di 18 milioni di euro. Quindi è toccato all’azienda vinicola Casanova, sottratta da un industriale di Hong Kong specializzato nel settore farmaceutico.
Infine, i pomodori pelati del gruppo Ar Alimentari, primo produttore italiano, sono stati venduti alla società anglo-giapponese Princes, controllata dalla Mitsubishi. Secondo la Coldiretti, la Confederazione dell’organizzazione di produttori agricoli, la fuga dei marchi agroalimentari costa ogni anno alla penisola un giro d’affari di una decina di miliardi di euro. Anche la grande distribuzione non ne è rimasta immune, presa d’assalto da Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin.

Lo spettro delle delocalizzazioni
Nel settore della moda, la Francia ancora una volta fa la parte del leone in Italia. Il brand dello stilista Gianfranco Ferré è stato acquistato da Paris Group, mentre Bernard Arnault si è dato alla gioielleria strappando il colosso mondiale con un fatturato annuo vicino a 1,2 miliardi di euro. Nell’industria, i tedeschi hanno battuto il famoso produttore di moto Ducati, passata sotto l’Audi Cup per 860 milioni di euro.
“Il cambiamento di proprietà spesso comporta lo spostamento di risorse finanziarie della società acquisita, la delocalizzazione della produzione, la chiusura degli stabilimenti e una riduzione nell’occupazione“, ha detto Sergio Marini, presidente dell’associazione degli agricoltori Coldiretti.
Due esempi confermano queste parole: l’acquisto di Parmalat da parte del Gruppo Lactalis, che ha beneficiato del recupero di liquidità dopo il salvataggio del gruppo e l’ondata di licenziamenti negli stabilimenti Fiorucci, acquistati nel 2011 dal gruppo iberico Campofrio.
Come fermare il massacro del made in Italy e frenare la fuga delle grandi marche? ”Creando un settore agricolo totalmente italiano e potenziando il motore industriale utilizzando misure sostenibili” questa la proposta di Sergio Marini. Purtroppo l’esecutivo italiano che ha recentemente appreso del nuovo abbassamento di rating da parte dell’agenzia Standard & Poors non ha davvero la testa per pensare agli investimenti.

Le mani della mafia sull’ambiente, in Italia

 
Articolo originale di Andrea Barolini apparso in Francia su ReporterreTraduzione di Claudia Marruccelli Il Fatto

Dalle nuove fonti di energia alla Torino-Lione, dal problema dello smaltimento dei rifiuti a quello dell’abusivismo immobiliare, la mafia è sempre più presente in tutti i settori dell’ambiente. Questo è ciò che emerge dal rapporto Ecomafia, presentato per la prima volta in Francia.
 

34120 crimini, 28132 persone denunciate alle autorità, 161 agli arresti domiciliari, 8 286 pignoramenti giudiziari e un fatturato di quasi 17 miliardi di euro. È la fotografia della criminalità ambientale italiana: un gigantesco business, oggi gestito da 302 clan mafiosi.
Per anni, anzi decenni, le infiltrazioni criminali nella gestione dei rifiuti o nello sviluppo delle energie rinnovabili sono aumentate in modo incredibile. E le cifre – diffuse dal rapporto 2013 di Ecomafia, la più completa relazione sul ruolo della criminalità organizzata in Italia nel settore dell’ambiente, compilato dall’associazione ecologista Legambiente – sono eloquenti.
Ciò che preoccupa maggiormente le autorità italiane è la distribuzione geografica dei crimini: la maggior parte (45,7%) sono localizzati ancora nelle quattro regioni con la più alta presenza mafiosa (Sicilia, Campania, Puglia e Calabria), ma anche nel Lazio (regione della capitale, Roma) e in Toscana (con Firenze, Siena e Pisa). Inoltre, il numero di reati è in netta crescita: + 15,4% nel 2012 rispetto al 2011.
Questa è una delle conseguenze della ramificazione al centro-nord della mafia che arriva da Napoli e Caserta, le due “capitali” della camorra, una mafia estremamente attiva soprattutto nella gestione dei rifiuti.
È probabilmente per lo stesso motivo che l’Umbria è passata in un solo anno dal sedicesimo all’undicesimo posto nella “classifica” delle regioni meno virtuose. Ma preoccupanti sono anche i numeri che riguardano il nord del paese, lontano dal “quartier generale” mafioso del sud: i reati ambientali nel Veneto sono aumentati del 18,9% rispetto al 2011, mentre la Liguria ha registrato un incremento del 9,1% dei reati.

L’economia illegale incassa nonostante la crisi
“L’economia dell’Ecomafia – ha detto il Presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza in un comunicato stampa – è l’unica economia italiana che risulta in crescita in un contesto di crisi diffusa, riuscendo a costruire abitazioni abusive allo stesso ritmo degli anni precedenti, mentre il mercato immobiliare nazionale crolla”.
È un’economia che nasce da una comunione d’interessi tra imprenditori senza scrupoli, sindaci e amministratori collusi, funzionari corrotti, professionisti privi di etica e boss della mafia. Falsificano documenti e bilanci e operano grazie al “dumping” ambientale, all’evasione fiscale, al riciclaggio di denaro, alla corruzione, alla compravendita di voti e alle infiltrazioni in appalti pubblici.
Non è solo l’aspetto economico dell’affare che attira la mafia, ma la prospettiva dell’impunità. Infatti, la maggior parte dei tribunali italiani riescono a sanzionare tali reati soltanto dal punto di vista amministrativo: basta quindi pagare una multa per regolare i conti con la giustizia.
La cosa è molto evidente nel settore immobiliare. Il numero di edifici costruiti abusivamente è passato dal 9% del totale delle costruzioni nel 2006 al 16,9% (stimato) nel 2013. Nello stesso periodo, i numeri degli edifici a norma sono crollati da 305 000 a 122 000, mentre quelli abusivi hanno subito solo un lieve calo.
Questo fenomeno si verifica principalmente perché il mercato illecito è sostenuto dai prezzi che può garantire: il costo medio per costruire un’abitazione è di 155 000 euro in Italia, mentre se si sceglie l’abusivismo, verrà a costare non più di 66.000 euro in media. Certamente, ci sono dei rischi. Ma tra il 2000 e il 2011, giudici hanno ordinato soltanto 46 760 demolizioni, di cui appena il 10,6% sono state eseguite…

Rifiuti, settore agroalimentare, energie rinnovabili: nulla sfugge
I reati contro l’ambiente non risparmiano alcun settore. Legambiente ricorda che nel 2012 i crimini contro la sicurezza alimentare – nella filiera agricola – sono stati 4.173 (più di 11 al giorno), e i giudici hanno ordinato sequestri per un valore nominale di 672 milioni di euro.
Inoltre, l’Ufficio Centrale Antifrode indica che la quantità di materiale sequestrato alle dogane dei porti italiani è raddoppiata tra il 2011 e 2012, passando da 7.000 a circa 14000 tonnellate. Si tratta principalmente di materiali ufficialmente destinati al riciclaggio – plastica, carta o acciaio – ma che sono in realtà spediti in Corea del sud, Cina, Hong Kong, Indonesia, India o Turchia.
Questi flussi garantiscono ai mafiosi enormi quantità di denaro e danneggiano doppiamente l’economia: primo, perché riescono a deviare fondi statali destinati al riciclaggio dei rifiuti e secondo, perché essi intaccano l’ambito delle aziende in regola. Basta infatti presentare qualche documento falso per essere accreditati come “azienda di riciclaggio”.

Le nuove fonti di energia invase dalla mafia
Lo stesso problema si verifica nel settore delle energie rinnovabili, che sono sostanziosamente finanziate dalle amministrazioni pubbliche italiane ed europee. Un “tesoro” che non è sfuggito all’attenzione dei clan mafiosi:
“Le organizzazioni criminali – ha confermato la DNA (Direzione Nazionale Antimafia) nella sua ultima relazione annuale – sono molto interessate a impianti di energia pulita, perché beneficiano di sovvenzioni. Per stornarle a loro vantaggio, la mafia corrompe funzionari e le autorità che gestiscono le procedure di autorizzazione”.

Una corruzione in crescita … fino alla Torino-Lione
La corruzione è il cuore del problema. Secondo la DNA, gli arresti per corruzione sono raddoppiati durante la prima metà del 2012 rispetto agli ultimi sei mesi dell’anno precedente. In particolare, le indagini giudiziarie sui casi di «corruzione ambientale», tra gennaio 2010 e maggio 2013, hanno raggiunto la cifra impressionante di 135.
Tangenti pagate ad amministratori, rappresentanti politici e funzionari pubblici garantiscono l’emissione di concessioni per costruire abitazioni, autostrade, discariche, parchi solari o centrali eoliche. Solo nel 2012, venticinque amministrazioni comunali sono stati sospese per infiltrazioni mafiose, inclusa quella di Reggio Calabria, che conta più di 186.000 abitanti.
“La debolezza strutturale della pubblica amministrazione è stata terreno fertile per la criminalità organizzata non solo per motivi economici, ma anche semplicemente per rimarcare la propria supremazia sul territorio,“, ha dichiarato Valerio Valenti, prefetto siciliano, nel suo comunicato stampa. Valenti ha fatto pressioni per la nomina di un Commissario prefettizio nell’amministrazione locale calabrese.
Recentemente, una notizia molto preoccupante è arrivata anche della Val di Susa, in Piemonte, dove è prevista la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. Dopo i controlli sui fornitori, una società con sede a Rovigo (in Veneto) è stata esclusa perché non aveva passato i controlli obbligatori antimafia. Si tratta della Pato Perforazioni, che non dovrebbe essere più presente in cantiere. Ma, secondo le informazioni pubblicate sul sito TG Valle Susa, non ha ancora abbandonato i lavori…

giovedì 18 luglio 2013

Le relazioni pericolose dell'Italia con il dittatore kazako


Les liaisons dangereuses de l’Italie avec le dictateur kazakh

Di Ariel Dumont
Pubblicato in Francia il 15 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

Era la mezzanotte del 31 maggio. La zona residenziale di Casal Palocco, situata a 15 km dal mare, a sud della capitale italiana, è immersa nel silenzio. In una villa con piscina, protetta da occhi indiscreti da grandi alberi, dorme la famiglia Ablyazov. In una stanza, Alma Ablyazov e sua figlia di sei anni. In un'altra camera, sua sorella e suo cognato. Nelle altre, il personale di servizio.


Mukhtar Ablyazov

Noursoultan Nazarbayev


Mukhtar Ablyazov non c'è, i servizi segreti prelevano la moglie
La notte alla fine sarà breve. Una cinquantina uomini della Digos, i servizi segreti italiani, armati e tutti vestiti di nero, circondano la villa. "Stavamo dormendo quando ho sentito dei rumori, colpi di spranga contro le finestre e le porte," racconta oggi Alma Ablyazov in un memoriale consegnato ai suoi avvocati. Una trentina di loro irrompe nella villa, gli altri fuori, sorvegliano il giardino. "Avevano l'aria truce, uno di loro mi ha minacciato con la sua pistola e mi ha chiesto i documenti," ricorda Alma. "In un inglese stentato, misto ad italiano, l'uomo le ha chiesto di identificarsi e le mostra una fotografia: ho capito che stavano cercando mio marito". Il marito di questa donna dagli occhi a mandorla, è Mukhtar Ablyazov, ex ministro dell'energia e dell'industria del dittatore Noursoultan Nazarbayev. Diventato uno dei più importanti oppositori del presidente kazako, Mukhtar Ablyazov fuggì nel Regno Unito, dove ha ottenuto con la sua famiglia lo status di rifugiato politico. Quella notte, lui non c'è. Per proteggersi, Alma Ablyazov esibisce un passaporto dimostrando la nazionalità centro-africana che ha ricevuto recentemente, per motivi di sicurezza. Per l'agente, questo documento è un falso. “Puttana russa" Le grida addosso l'uomo agitando il passaporto. Accusata di possesso di passaporto falso, trattata come una clandestina, Alma Ablyazov viene prelevata con la forza assieme a suo cognato, che nel frattempo era stato pestato a sangue. Verrà rinchiusa in un centro di detenzione preventiva senza bere né mangiare per quindici ore di seguito. Le impediranno anche di vedere un avvocato.

Giudice svegliato all’alba e un aereo pronto a decollare
La mattina presto, i servizi segreti svegliano un giudice e gli chiedono di convalidare il provvedimento di espulsione. Poi, tornano a Casal Palocco e prelevano la figlia di Alma. La giovane donna e sua figlia sono condotte in automobile all'aeroporto, dove li attende un jet privato austriaco. Il pilota viene avvertito alle 5 del mattino di trovarsi sulla pista pronto per decollare in fretta. Sull'aereo, attendono due diplomatici kazaki. L'aereo decolla verso il Kazakistan. Missione compiuta: è passato un mese e il caso ha preso una brutta piega per il governo italiano, che ha già dovuto difendersi dinanzi il Parlamento. Sono state avanzate varie domande. Chi autorizzato il raid nella villa? Chi ha mobilitato i servizi segreti? Il numero due del governo, ministro dell'interno e rappresentante di Silvio Berlusconi in seno all’esecutivo di unità nazionale, così come il ministro degli affari esteri, la radicale Emma Bonino? "Non so niente ma cadranno delle teste," giura il vicepremier, Angelino Alfano. "Questa storia deve essere chiarita," ha detto il ministro Emma Bonino.

Annullamento del provvedimento di espulsione
Secondo la stampa italiana, i diplomatici kazaki dell’ambasciata a Roma avrebbero fatto ripetute pressioni al Ministero degli interni. Secondo il quotidiano di Milano Il Corriere della Sera, l’ambasciatore kazako avrebbe chiesto l'intervento del Ministero il 27 maggio, per l'arresto di un "uomo pericoloso, armato e ricercato in Kazakistan". Il diplomatico viene messo in comunicazione con il dipartimento di sicurezza interna. Il raid viene autorizzato un paio d'ore più tardi. L'Italia ha interessi economici in Kazakhstan tramite l'Eni, la compagnia petrolifera nazionale italiana. Si sarebbe invischiata nella faccenda per preservare la propria attività in questo stato ricco di gas e petrolio? La domanda è legittima. La settimana scorsa, il governo, che ha ordinato un'inchiesta, ja iniziato annullando l'ordine di espulsione. Una richiesta formale di rimpatrio è stata presentata al Kazakistan. L'annullamento dell'ordine di espulsione è un'importante vittoria. Ora la partita si gioca dal lato kazako e lì, non sarà facile", ammette un avvocato che cura gli interessi della famiglia Ablyazov.

Moneta di scambio
Da quando è stata espulsa, Alma Ablyazov è agli arresti domiciliari e il capo dello stato, Nursultan Nazarbayev, non ha alcuna intenzione di mollare ciò che considera come una moneta di scambio per ritrovare il suo dissidente, accusato di aver sottratto alla banca di cui era il dirigente, la BTA, 5 miliardi di dollari. In Italia, il caso potrebbe avere ulteriori sviluppi. Il Tribunale di Roma, a cui la famiglia Ablyazov si è rivolta, ha previsto una prima udienza il 25 luglio. Nel frattempo, i ministri dell'interno e degli affari esteri e il dipartimento di sicurezza interno dovrebbero fornire spiegazioni sui contatti con i diplomatici kazaki. E soprattutto cosa più importante, trovare il funzionario che ha firmato l'ordine di espulsione.

martedì 16 luglio 2013

Condannato a 7 anni di prigione, Berlusconi scende in in guerra per salvarsi la pelle.

Condamné à 7 ans de prison, Berlusconi en guerre pour sauver sa peau

di Marcelle Padovani
Pubblicato in Francia il 24 giugno 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli



La condanna del “Cavaliere” nella vicenda Ruby potrebbe indurlo ad irrigidire il suo atteggiamento nei confronti del governo Letta.Sette anni di reclusione e l’interdizione [perpetua] dai pubblici uffici: la sentenza è arrivata alle 17:22 lunedì 24 giugno nell’aula del Tribunale di Milano gremita di avvocati e giornalisti. Ma Silvio Berlusconi non era presente, così come la sua principale accusatrice, il procuratore Ilda Boccassini. La pena è più pesante di quella che aveva richiesto il pubblico ministero. E se verrà confermata nei successivi gradi di giudizio, il "Cavaliere" dovrà rassegnare le dimissioni dalla sua carica di senatore.
"Il processo del secolo", hanno scritto. Effettivamente, è durato più di due anni, con 50 udienze, praticamente una a settimana. L’accusa era di concussione ed istigazione alla prostituzione minorile. Ricordiamo i fatti: il 27 maggio 2010, mentre Sua Emittenza, che allora era Presidente del Consiglio, si trova a Parigi, una ragazzina viene arrestata per furto e condotta in una stazione di polizia a Milano. Colpo di scena: Berlusconi in persona chiama il commissariato milanese alle 2 del mattino pretendendo che venga rimessa in libertà quella che chiama la "nipote di Mubarak". Però Karima el Mahroug, questo il suo vero nome, anche se si fa chiamare 'Ruby', non è egiziana ma marocchina, e non ha alcuna parentela con il dittatore del Cairo e in più è minorenne.

In guerra per salvarsi la pelle
E’ da lì che partono le indagini e l’incredibile storia dei bunga-bunga inizierà a dipanarsi, facendo il giro del mondo: nella Villa di Arcore, soprannominata improvvisamente "Villa hardcore", si svolgevano cene particolari che si concludevano con striptease e rapporti sessuali con escort, talvolta minorenni, regolarmente pagate dal padrone di casa. Uno scandalo senza precedenti, che Berlusconi tenterà di trasformare in un "complotto politico allo scopo di toglierlo di mezzo".
Resta da vedere ora come il condannato gestirà la sua ennesima sconfitta giudiziaria. Impensabili le sue dimissioni, anche se diventerà sempre più difficile per lui riuscire a mantenere un ruolo politico in Parlamento. Ciò che si teme è piuttosto un irrigidimento del suo atteggiamento nei confronti del governo Letta, appoggiato proprio dal Popolo delle Libertà: perché il "Caimano" ha tutto l’interesse a spostare l'attenzione su un'eventuale crisi dell'esecutivo, o addirittura sulle elezioni anticipate.
Ma Berlusconi combatterà le istituzioni, anche se venisse cacciato dal “Palazzo”, e rimanesse fuori dal Parlamento. Diventando così un vero leader "extraparlamentare", in guerra per salvare la sua pelle. Bella prospettiva per l'Italia, che ha già un leader di questo genere nella persona di Grillo e nel suo Movimento 5 Stelle. O meglio: una prospettiva insostenibile poiché Berlusconi e Grillo messi assieme, attualmente rappresentano i due terzi dell'elettorato.

Le mani della mafia sull’ambiente, in Italia





di Andrea Barolini
Pubblicati in Francia l'8 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli per il Fatto Quotidiano

Dalle nuove fonti di energia alla Torino-Lione, dal problema dello smaltimento dei rifiuti a quello dell’abusivismo immobiliare, la mafia è sempre più presente in tutti i settori dell'ambiente. Questo è ciò che emerge dal rapporto Ecomafia, presentato per la prima volta in Francia.
34120 crimini, 28132 persone denunciate alle autorità, 161 agli arresti domiciliari, 8 286 pignoramenti giudiziari e un fatturato di quasi 17 miliardi di euro. È la fotografia della criminalità ambientale italiana: un gigantesco business, oggi gestito da 302 clan mafiosi.
Per anni, anzi decenni, le infiltrazioni criminali nella gestione dei rifiuti o nello sviluppo delle energie rinnovabili sono aumentate in modo incredibile. E le cifre – diffuse dal rapporto 2013 di Ecomafia, la più completa relazione sul ruolo della criminalità organizzata in Italia nel settore dell'ambiente, compilato dall'associazione ecologista Legambiente - sono eloquenti.
Ciò che preoccupa maggiormente le autorità italiane è la distribuzione geografica dei crimini: la maggior parte (45,7%) sono localizzati ancora nelle quattro regioni con la più alta presenza mafiosa (Sicilia, Campania, Puglia e Calabria), ma anche nel Lazio (regione della capitale, Roma) e in Toscana (con Firenze, Siena e Pisa). Inoltre, il numero di reati è in netta crescita: + 15,4% nel 2012 rispetto al 2011. 
Questa è una delle conseguenze della ramificazione al centro-nord della mafia che arriva da Napoli e Caserta, le due "capitali" della camorra, una mafia estremamente attiva soprattutto nella gestione dei rifiuti. 
È probabilmente per lo stesso motivo che l’Umbria è passata in un solo anno dal sedicesimo all'undicesimo posto nella “classifica” delle regioni meno virtuose. Ma preoccupanti sono anche i numeri che riguardano il nord del paese, lontano dal "quartier generale" mafioso del sud: i reati ambientali nel Veneto sono aumentati del 18,9% rispetto al 2011, mentre la Liguria ha registrato un incremento del 9,1% dei reati.


L’economia illegale incassa nonostante la crisi
"L'economia dell’Ecomafia - ha detto il Presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza in un comunicato stampa - è l'unica economia italiana che risulta in crescita in un contesto di crisi diffusa, riuscendo a costruire abitazioni abusive allo stesso ritmo degli anni precedenti, mentre il mercato immobiliare nazionale crolla.
È un'economia che nasce da una comunione d’interessi tra imprenditori senza scrupoli, sindaci e amministratori collusi, funzionari corrotti, professionisti privi di etica e boss della mafia. Falsificano documenti e bilanci e operano grazie al “dumping” ambientale, all'evasione fiscale, al riciclaggio di denaro, alla corruzione, alla compravendita di voti e alle infiltrazioni in appalti pubblici.
Non è solo l’aspetto economico dell’affare che attira la mafia, ma la prospettiva dell'impunità. Infatti, la maggior parte dei tribunali italiani riescono a sanzionare tali reati soltanto dal punto di vista amministrativo: basta quindi pagare una multa per regolare i conti con la giustizia.
La cosa è molto evidente nel settore immobiliare. Il numero di edifici costruiti abusivamente è passato dal 9% del totale delle costruzioni nel 2006 al 16,9% (stimato) nel 2013. Nello stesso periodo, i numeri degli edifici a norma sono crollati da 305 000 a 122 000, mentre quelli abusivi hanno subito solo un lieve calo.
Questo fenomeno si verifica principalmente perché il mercato illecito è sostenuto dai prezzi che può garantire: il costo medio per costruire un'abitazione è di 155 000 euro in Italia, mentre se si sceglie l’abusivismo, verrà a costare non più di 66.000 euro in media. Certamente, ci sono dei rischi. Ma tra il 2000 e il 2011, giudici hanno ordinato soltanto 46 760 demolizioni, di cui appena il 10,6% sono state eseguite...

Rifiuti, settore agroalimentare, energie rinnovabili: nulla sfugge
I reati contro l'ambiente non risparmiano alcun settore. Legambiente ricorda che nel 2012 i crimini contro la sicurezza alimentare - nella filiera agricola - sono stati 4.173 (più di 11 al giorno), e i giudici hanno ordinato sequestri per un valore nominale di 672 milioni di euro.
Inoltre, l’Ufficio Centrale Antifrode indica che la quantità di materiale sequestrato alle dogane dei porti italiani è raddoppiata tra il 2011 e 2012, passando da 7.000 a circa 14000 tonnellate. Si tratta principalmente di materiali ufficialmente destinati al riciclaggio - plastica, carta o acciaio - ma che sono in realtà spediti in Corea del sud, Cina, Hong Kong, Indonesia, India o Turchia.
Questi flussi garantiscono ai mafiosi enormi quantità di denaro e danneggiano doppiamente l'economia: primo, perché riescono a deviare fondi statali destinati al riciclaggio dei rifiuti e secondo, perché essi intaccano l'ambito delle aziende in regola. Basta infatti presentare qualche documento falso per essere accreditati come “azienda di riciclaggio”.

Le nuove fonti di energia invase dalla mafia
Lo stesso problema si verifica nel settore delle energie rinnovabili, che sono sostanziosamente finanziate dalle amministrazioni pubbliche italiane ed europee. Un “tesoro” che non è sfuggito all'attenzione dei clan mafiosi:
"Le organizzazioni criminali - ha confermato la DNA (direzione nazionale Antimafia) nella sua ultima relazione annuale - sono molto interessate a impianti di energia pulita, perché beneficiano di sovvenzioni. Per stornarle a loro vantaggio, la mafia corrompe funzionari e le autorità che gestiscono le procedure di autorizzazione”.


Una corruzione in crescita … fino alla Torino-Lione
La corruzione è il cuore del problema. Secondo la DNA, gli arresti per corruzione sono raddoppiati durante la prima metà del 2012 rispetto agli ultimi sei mesi dell'anno precedente. In particolare, le indagini giudiziarie sui casi di «corruzione ambientale», tra gennaio 2010 e maggio 2013, hanno raggiunto la cifra impressionante di 135.
Tangenti pagate ad amministratori, rappresentanti politici e funzionari pubblici garantiscono l’emissione di concessioni per costruire abitazioni, autostrade, discariche, parchi solari o centrali eoliche. Solo nel 2012, venticinque amministrazioni comunali sono stati sospese per infiltrazioni mafiose, inclusa quella di Reggio Calabria, che conta più di 186.000 abitanti.
"La debolezza strutturale della pubblica amministrazione è stata terreno fertile per la criminalità organizzata non solo per motivi economici, ma anche semplicemente per rimarcare la propria supremazia sul territorio,", ha dichiarato Valerio Valenti, prefetto siciliano, nel suo comunicato stampa. Valenti ha fatto pressioni per la nomina di un Commissario prefettizio nell’amministrazione locale calabrese.
Recentemente, una notizia molto preoccupante è arrivata anche della Val di Susa, in Piemonte, dove è prevista la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. Dopo i controlli sui fornitori, una società con sede a Rovigo (in Veneto) è stata esclusa perché non aveva passato i controlli obbligatori antimafia. Si tratta della Pato Perforazioni, che non dovrebbe essere più presente in cantiere. Ma, secondo le informazioni pubblicate sul sito TG Valle Susa, non ha ancora abbandonato i lavori...