lunedì 26 novembre 2012

Il falso egoismo degli europei

Le faux égoïsme des Européens

di Arnaud Leparmentier
Pubblicato in Francia il 21 Novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

Questa è la settimana delle repliche: il palinsesto europeo ci riserva due brutti sceneggiati, la questione sul bilancio dell'UE e lo psicodramma della tripla A.




In un incontro a Bruxelles, i capi di Stato e di governo si sbraneranno per almeno due giorni sul magrissimo bilancio dell'Europa dei 27. Si tratterà su tutto: i contributi agricoli, gli aiuti regionali e in particolare il famoso sconto britannico. La "prima" risale al 1984. L'Europa era bloccata dall’Inghilterra di Margaret Thatcher: sull’orlo della bancarotta, non voleva versare la propria quota per i fondi a favore dell'agricoltura continentale e si lamentava di ricevere in cambio ben poco. "Ridatemi i miei soldi", ripeteva in continuazione il primo ministro britannico, giocando al rialzo. Esasperati, Helmut Kohl e François Mitterrand le fecero un’ultima proposta.


TRIONFO DELLA LADY DI FERROIron Lady aprì la borsetta, si diede un tocco di cipria, bevve un bicchiere di scotch e acconsentì: "Accetto". Superba regia, trionfo della Lady di Ferro, che ottenne meritatamente il successo, ossia uno sconto di due terzi sul suo contributo netto al bilancio dell'Unione europea. Era il vertice di Fontainebleau, che poi permise la ripresa dell’Europa. In seguito i continentali impararono l'inglese e si susseguirono remake di cattiva qualità. Tutti chiedevano uno sconto per se, in caso contrario si rifiutavano di compensare il deficit causato dallo sconto britannico. Invocando la costosa riunificazione tedesca nel 1999, Gerhard Schröder ottenne uno "sconto sullo sconto", cioè il diritto di pagare solo un quarto del suo contributo per l’ammanco britannico, così come gli olandesi, svedesi e austriaci. Oggi, i danesi presentano la stessa richiesta, e i francesi, che a lungo hanno difeso la politica agricola comune, si accorgono di essere diventati assieme agli italiani “il tacchino del ringraziamento”: sono invitati a compensare questi sconti ripetuti. "Voglio indietro i miei soldi!": Questo è il credo che divide gli europei. Uno strano credo, proclamato a gran voce ma smentito dalla realtà. Quella di un’Europa allargata, prima di tutto. La solidarietà è forte, nonostante le grida di sdegno per i presunti egoismi nazionali: i paesi più poveri continuano a ricevere più aiuti di quelli che possono consumare, senza finire nel caos.


Parigi ha perso la tripla AQuesto credo egoista non corrisponde neanche alla realtà dell'euro, ed è ciò che ci insegna il secondo sceneggiato, ossia quello del downgrade della Francia da parte di Moody’s. Dopo il verdetto di Standard & Poors nel mese di gennaio, Parigi ha perso la sua tripla A. Non ci perderemo nei dettagli dei motivi classici invocati dall’agenzia, la lenta perdita di competitività di un paese che rifiuta di fare le riforme, ma poniamo l’accento sugli handicap europei. La Francia, prigioniera dell'euro non può svalutarsi, ma è particolarmente vulnerabile agli alti e bassi del sud Europa: "L'esposizione della Francia all’Europa periferica attraverso i suoi legami commerciali e bancari, ha un'importanza sproporzionata, e i suoi obblighi per sostenere altri paesi della zona euro sono aumentati ", ha scritto Moody’s. Tradotto nel linguaggio di tutti i giorni: la Francia è stata anche degradata a causa della sua solidarietà con i suoi vicini meridionali, in proporzione equivalente a quella della Germania.

Salvare l’euroI francesi, che credono che i soldi del governo non sono di loro proprietà, non se ne sono ancora accorti. Le persone che stanno a guardare anche il centesimo come i tedeschi, lo hanno già capito e hanno cercato di opporsi a questi anni di solidarietà. Prima di dover cedere, per salvare l'euro. Così, gli europei non vogliono essere solidali, ma di fatto lo sono. Sono come una coppia di coniugi anziani, che non possono divorziare, ma sono costretti a condividere la stessa casa, dove ognuno si fa i propri conti in tasca per manifestare la propria sfiducia verso l’altro. La correttezza politica del momento consiste nello spiegare questa diffidenza verso la mancanza di democrazia in Europa. In realtà, l'Europa è costruita secondo i canoni di Montesquieu, ma è anche un fantasma. I cittadini non s’identificano con i propri deputati al Parlamento europeo, anche se eletti a suffragio universale, né con quelli della Commissione, comunque organo dal Parlamento. La casa comune è vuota, disabitata dai cittadini. "Creare le istituzioni, non vuol dire creare una democrazia", ammette il federalista Pascal Lamy. Il direttore generale dell'Organizzazione mondiale del commercio riprende a suo vantaggio l'idea sviluppata dallo storico ed ex ambasciatore israeliano in Francia Elie Barnavi di "un’Europa frigida".


Lago IndifferenzaCon un pizzico di pudore, noi preferiamo l'espressione di François Hollande: la più grave minaccia che pesa sull'Europa, è "di non essere più amata." Se osserviamo la Mappa del Cuore, ipotizzata ironicamente da Molière, che descrive le pene dell'amore: l'Europa si è persa nel Lago Indifferenza. Il motivo? L'Europa fa ancora parte dell'economia. Jacques Delors ripeteva continuamente: non ci s’innamora di un grande mercato. "Ma noi, non chiediamo d’innamorarci del mercato unico! Sarebbe terribile!", ha assicurato a metà novembre, il primo ministro italiano Mario Monti. Peggio ancora, con la crisi, l'economia è caduta nel disincanto amoroso. "Con la crisi, detestiamo il mercato unico, perché lo vediamo come uno strumento per distribuire malefici sull’Europa", si è lamentato l'ex commissario europeo. Europa non è più sinonimo di prosperità economica. Rimane quindi l’Europa politica per attrarre i cittadini. Ma questa accumula fallimenti. Il primo tentativo, quello di difesa della Comunità europea, è fallito con il ​​rifiuto del Parlamento francese nel 1954, al tempo del governo Pierre Mendès France.


"Sogni e incubi"Maastricht non ha consentito lo sviluppo di una politica estera europea. Colpa del popolo europeo. "Le identità nazionali si sono forgiate basandosi su miti guerrieri. Il mito della patria, è una nazione in pericolo. Il problema dell’Europa, è che è nata su un contro-mito, la pace", secondo l’analisi di Pascal Lamy. I sogghigni che hanno accompagnato l'assegnazione del Nobel per la pace all'Unione Europea dimostrano questa distanza. "Per avere una politica estera comune, occorre avere gli stessi sogni e gli stessi incubi. Eppure gli europei non hanno gli stessi sogni e incubi", prosegue Lamy. Davvero? Per fortuna, abbiamo l'euro dei nostri sogni.

Ritorno di fiamma per il Salone del Gusto di Torino

Retour & considérations sur le salon du goût à Turin

di Jean-Marcel Bouguerau Pubblicato in Francia il 20 Novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli



Il salone del gusto: 1000 espositori, 50 “appuntamenti con il gusto”, con un gran numero di grandi e piccoli imprenditori, produttori nel settore agroalimentare in rappresentanza di 400 comunità provenienti da 100 paesi diversi!


Mettete insieme il “Festival di neu-neu” (storica fiera di Neully-sur-Seine creata da Napoleone 1° ndt), la fiera del libro, quella dell'agricoltura, il mercato del biologico di Boulevard Raspail a Parigi, mescolate, aggiungete un pizzico di sale, pepe, un po’ di spezie esotiche, questo è il salone del gusto di Torino. Ospitato in 80.000 metri quadrati di padiglioni della mecca del taylorismo: la vecchia fabbrica Fiat del Lingotto. I profeti dello sviluppo sostenibile, piuttosto che del taylorismo ispirato alle fabbriche Ford nei primi anni del ventesimo secolo, un’architettura industriale al posto dell’avant-guardismo di Renzo Piano e il Bio al posto delle quattro ruote, tutto ciò fa ben sperare. Il salone del gusto, un evento che vede 1000 espositori, 50 "appuntamenti col gusto", una gran quantità di piccoli e grandi produttori, rappresentanti del mondo dell’agricoltura provenienti da 400 comunità di 100 paesi diversi. Nel 2010 l'ultima edizione del salone ha avuto 200.000 visitatori, di cui il 30% stranieri.


Slowfood
Tutte queste cifre sono già da sole sufficienti a descrivere l’enorme successo dell’azienda, che nasce a Bra, un paesino in provincia di Torino, dove ha vissuto Carlo Petrini, l'uomo che ha inventato e tutt’ora è a capo di Slow Food, ma che in 25 anni è diventato una multinazionale ... del gusto e del saper vivere bene. Questo ex militante di estrema sinistra, che ha partecipato alle manifestazioni dei lavoratori del 1969, continua ad essere affezionato alle sue lotte giovanili. Secondo lui, è ancora necessario cambiare il mondo. E secondo il suo punto di vista "il cibo può aiutare questo cambiamento, in quanto legato a un consumo eccessivo di risorse, a una perdita allarmante della biodiversità, all'inquinamento di aria, acqua e terra, ai cambiamenti climatici, al calo della qualità e della varietà di ciò di cui ci nutriamo, alla crisi dell'agricoltura che continua a lamentare una drastica riduzione del numero di agricoltori, vere e proprie roccaforti delle zone rurali". Per Petrini, "modificando la nostra dieta, scegliendo in base a criteri che rispettino la qualità, l’etica e l’ecologia, possiamo cambiare il mondo", uniformandosi in tal modo alla tesi di Brillat-Savarin secondo cui "il destino delle nazioni dipende da come si nutrono”.



Terra Madre
Ma il vero cuore della manifestazione, è lo spazio dedicato a Terra Madre, festa di colori e prodotti. Terra Madre è una rete organizzata in "comunità del cibo" nei cinque continenti, con lo scopo di promuovere la produzione di cibo "buono, pulito" (ecologico) e pagato al giusto prezzo. Terra Madre vuole dare voce e visibilità ai contadini del mondo.
In mezzo alla folla di italiani di tutte le età, classi intere di adolescenti con maestri e maestre, incontriamo un sikh con il suo turbante, giovani donne giapponesi con i loro (caratteristici) piedini, un mongolo con il cappello a punta, due donne che sembrano essere di origine guatemalteca se si osserva il costume nazionale che indossano, reso famoso da Rigoberta Menchu​​, quando ha ricevuto il premio Nobel, un uomo vestito di blu come i Tuareg, donne con il velo, donne dallo Sri Lanka che presentano la loro linfa di kitul, un liquido che sa di caramello e che pare si sposi bene con il formaggio fresco. Inoltre, degli [espositori] polacchi propongono un miele da bere, che assieme alla vodka era la bevanda tradizionale delle feste paesane, ma i cui produttori oggi si contano sulle dita di una mano.
Poi, passando da uno stand all’altro, si possono gustare tutti i prodotti del mondo: dallo zafferano marocchino di Taliouine alla pasta Katta del Mali, fino ad arrivare alle patate dolci del Perù, che qui scopriamo furono coltivate a quelle grandi altezze per ordine divino ricevuto dal primo inca che nacque dalle acque del lago Titicaca. Ci sarebbero 900 varietà di patate dolci, tra cui l'organizzazione locale di Slow Food ha selezionato le più interessanti. Questo perchè l’altro punto focale da cui trae nutrimento Slow sono le "sentinelle", quei prodotti locali o quelle razze, molte in via di estinzione, che Slow Food ha deciso di tutelare.


Conoscete in Francia il manzo mirandese di Gers (del nord est del Portogallo ndt), la Brousse di Rove (un formaggio a pasta molle di latte caprino ndt), il vino Rancio sec della regione Roussilllon, le lenticchie Saint-Flour, la rapa nera di Pardailhan, la carne di pecora Barèges-Gavarnie (specialità DOC dei Pirenei ndt), il pélardon stagionato (formaggio caprino della regione Languedoc-Roussillon)?
Prodotti locali di tutto il mondo
No, allora sicuramente non conoscerete nemmeno il piccolo granchio Aratu del Brasile, la palamita toscana o anche, il Warana degli indiani Sateré Mawé dell’ Amazzonia, una mitica pianta nota a questo popolo, dall'alto contenuto di guaranina, presente in questa liana in parte selvatica e dagli effetti energizzanti e analgesici senza pari nel mondo vegetale: meglio della Red Bull, che sconvolge le discoteche di tutto il mondo e stuzzica l'appetito di aziende come la Pepsi!
Qua e là, naturalmente, si possono assaggiare prodotti della piccola e grande gastronomia, provenienti da tutti i territorio, dove gli italiani sono i più rappresentati: 179 sezioni contro le 3 dell’ Argentina e solo 10 della Francia, ma questo è un’altra questione. I prodotti francesi, comunque sono presenti in gran numero, si va dalle “navettes di Six-Fours-les-Plages” (biscotti artigianali provenzali ndt) al prosciutto di Bayonne, fino agli straordinari caffè prodotti artigianalmente. Ad ogni stand, la una storia: c’è quella di Claudio Coralli, appassionato di caffè e cioccolato che si è trasferito in Africa, nello Zaire, da cui però è dovuto fuggire verso le isole di Sao Tome dove si coltivano i chicchi migliori.
Ogni regione italiana ha il suo spazio, il suo stand, i suoi seminari, ristoranti, aree di enodegustazione. Si può anche sposare l'odore del sigaro toscano della mozzarella di bufala affumicata con i vini "passiti" e liquorosi. I cuochi di fama come il bravissimo Fulvio Pierangelini, il cui ristorante Gambero Rosso, è stato a lungo il migliore d'Italia, fino a quando decise di chiuderlo. Non solo ha condotto un laboratorio del gusto dove si possono vedere studenti che annusano odori e assaggiano polveri strane, ma ha anche presentato la sua celebre “Passatina di ceci e gamberetti” all’interno di uno di questi workshop dal titolo "piatti che hanno fatto parlare di sè"



Considerazioni su Slow Food in Francia
E se, nella gastronomia, noi fossimo davvero arroganti, come spesso gli stranieri ci rimproverano a proposito di altri settori? Se, a forza di considerarci l’ombelico del mondo gastronomico, stessimo perdendo un bel po’ di belle occasioni? A riprova di ciò la scarsa presenza francese al salone del gusto di Torino, la manifestazione di Slow Food. Naturalmente, c’erano anche stand francesi: come in qualsiasi fiera erano presenti numerosi prodotti DOC, è stato possibile incontrare alcuni chef che fanno parte di questo movimento come Arnaud Daguin, ma a parte queste poche eccezioni, la presenza francese all’interno dei workshop e dei seminari era davvero ridotta. Dove erano i grandi cuochi? I Ducasse, Bras, Gagnaire? Dov’erano i rappresentanti dell’ultima generazione, i Bertrand Grébaut, Alexandre Gauthier, Eric Guerin? Mentre il numero delle adesioni cresce a ritmo esponenziale, quello dei membri francesi è fermo drammaticamente intorno a 2000, tre volte meno rispetto alla Germania!
Quando chiediamo il motivo di queste carenze francesi a Carlo Petrini, questi risponde un po’ evasivamente facendo riferimento all’avversione dei francesi per il nome inglese, il che non è sbagliato, ma non è abbastanza per spiegare questa mancanza di entusiasmo. Secondo Jean Lhéritier che presiede i centri di Slow Food nel nostro paese è "la Francia che ha inventato il INAO, la DOC e l’IGP italiane, ci sono dappertutto confraternite, congregazioni professionali per quasi tutti i prodotti. Tutto questo fa in modo che non sia facile creare un movimento di spessore che riguardi i prodotti dell’agroalimentare in questo paese. Tanto più che il messaggio è molto confuso, ad esempio da voi ci sono le catene di fast food che si fanno pubblicità con lo slogan "Da noi, c’è il gusto," senza che nessuno abbia da ridire". Che Quick (il MacDonald francese ndt) si possa permettere senza reazioni apparenti, questo tipo di pubblicità in un paese dove il "pasto gastronomico dei francesi” è stato recentemente registrato come patrimonio dell’umanità, dimostra abbastanza i nostri limiti! Tanto più che la realtà di questa gastronomia è meno brillante: 7 scuole su 10 utilizzerebbero i prodotti industriali per cucinare i pasti scolastici, come testimoniano gli acquisti fatti alla Metro da numerosi "ristoratori": pesce surgelato, cosciotti d’agnello dolci sottovuoto, dolci precotti. Forse abbiamo ancora un bel po’ di lavoro da fare a casa nostra, per realizzare uno Slow Food tutto francese.
Sono stato anche io socio Slow Food per un certo tempo, e mi sono trovato a condividere più di una volta alcuni pasti, per la verità non proprio eccellenti, con altri soci del mio quartiere. Dove era il coinvolgimento dei cittadini in queste attività? Che siano gli stessi sintomi che fanno si che la Germania sia molto in vista per il suo impegno in ecologia, mentre in Francia i "Verdi" non riescono ad a venir fuori dalla propria complicata situazione in politica?


Il Qatar e l’Italia assieme per promuovere il “Made in Italy”

Le Qatar et l'Italie s'associent pour promouvoir le "Made in Italy"

di Philippe Ridet
Pubblicato in Francia il 20 Novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli


La monarchia del Qatar non si fa problemi sul dopo-Monti in Italia. Che resti ancora in carica come sperano gli industriali, i cattolici o i centristi italiani, o no, lo stato arabo ha deciso, lunedì 19 Novembre, di investire nella Penisola. Un bel segno di fiducia se si tiene conto che il giorno prima, in Kuwait, il Presidente del Consiglio italiano stesso si era mostrato molto meno fiducioso dichiarando che era "già abbastanza impegnato con il presente per poter garantire il futuro d'Italia" dopo di lui.
L'accordo siglato tra il Qatar e l'Italia prevede la creazione di una joint venture destinata a investire in società italiane attive nel settore del "Made in Italy". Chiamata "IQ Venture Made in Italy", questa struttura godrà di un immediato fondo di 300 milioni di euro, versati in parti uguali dalla Qatar Holding LLC e dal Fondo strategico italiano (FSI), una holding controllata dalla Cassa Depositi e prestiti. Il fondo potrebbe arrivare a 2 miliardi entro quattro anni.
Mentre in Francia il Qatar prevede di far piovere i suoi petrodollari sulle periferie, è l'industria del lusso che gli fa gola in Italia. A ciascuno le proprie debolezze. Moda, cibo, arredamento e il design sono la punta di diamante delle esportazioni italiane, l'unico indicatore attualmente positivo nel cruscotto dell'economia.
Ma queste società nate dal capitalismo familiare tradizionale fanno fatica a crescere in assenza di capitali sufficienti, e diventano preda ideale per i concorrenti più grandi di loro. Una situazione ben illustrata ultimamente dall’acquisizione di Bulgari da parte di LVMH o di Parmalat da Lactalis.


Mire sulla Sardegna
Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Jassem Al-Thani, ha detto che il suo paese ha mostrato "grande interesse" per il mercato italiano. "Ci sono progetti in difficoltà in Italia e stiamo studiando la possibilità di entrare" in questi progetti, ha aggiunto. "Chiunque pensi che le acquisizioni straniere in Italia siano un segnale di vendite al ribasso, si sbaglia di grosso” ha assicurato Monti a Doha.
Si tratta, secondo lui, "di attirare investimenti stabili e a lungo termine e siamo lieti che l'Italia riesca a farlo." Da quando è arrivato al potere un anno fa, il presidente del Consiglio, che è a conoscenza dei vantaggi del "Made in Italy" per la crescita di un paese in recessione, moltiplica le sue visite all'estero.
Ma l'interesse dello sceicco non è solo verso l’alta moda e il prosciutto di Parma. Il suo sguardo è rivolto anche alla Sardegna e in particolare alla Costa Smeralda, dove, nel 1960, Karim Aga Khan IV ha speso enormi capitali per trasformare questo piccolo paradiso mediterraneo zona di villeggiatira dei più rucchi del pianeta.
Egli è disposto a investire 1 miliardo di euro per sviluppare il trasporto marittimo e aereo verso questa striscia di sabbia di 55 km, sulla costa nord dell'isola. "Le caratteristiche della Sardegna saranno tenute in considerazione al fine non di cambiare la natura di questo territorio magnifico", ha promesso.


giovedì 15 novembre 2012

La stella nascente della sinistra italiana: Renzi

Renzi, l'étoile montante de la gauche italienne

di Pierre de Gasquet
Pubblicato in Francia il 12 novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

A due settimane dalle primarie del Partito Democratico, il provocatore del centrosinistra italiano sfida il segretario generale in carica, Pier Luigi Bersani. Apprezzato dagli economisti, il sindaco di Firenze si ispira al pragmatismo di Blair e di Obama.



La franchezza contro gli antichi intrallazzi. Sulla piazza di Ortigia, l’antica colonia greca così denominata dai fondatori di Siracusa, in camicia bianca e jeans, “l’uomo del cambiamento” entusiasma la folla all’inizio di novembre. Prima di concludere a Palermo il suo tour elettorale , il “Rottamatore”, ha solcato l’Italia a bordo del suo camper, attraversando a ritmo serrato ben 108 province italiane. Il suo soprannome “rottamatore” (o “demolitore” della vecchia casta), che trae diretta ispirazione dalla “rottamazione”, termine usato per indicare la distruzione delle auto da demolire, è parte integrante del suo marchio di fabbrica. Il fenomeno Renzi consiste prima di tutto nell’invenzione di uno slogan audace e poi nella scelta di un veicolo che attira gli sguardi: un camper su cui spicca a caratteri cubitali rossi la scritta: “Adesso!”.
Così come all’epoca il frate riformatore Savonarola, il sindaco di Firenze, trentasette anni di età, è un piccolo miracolo isolato nel paese della gerontocrazia, che punta soprattutto sulla propria capacità oratoria e sul suo “parlar schietto” per vincere le primarie del Partito Democratico del 25 novembre, profondamente convinto del fatto che il “ritorno alla dignità della politica italiana” debba passare per un totale rinnovamento degli eletti e delle caste. “Mi sento più vicino alla sinistra di Blair e di Obama, piuttosto che a quella di Hollande” confessa Matteo Renzi al quotidiano francese “Echos”,a bordo del suo camper verso Palermo, proprio quando ha appena ricevuto gli incoraggiamenti di Jack Lang. In Francia, si dice grande amico di Bertrand Delanoë et Anne Hidalgo.
“In Italia, essere di sinistra vuol dire ridurre le tasse” insiste, però il “Rottamatore”, sottolineando il livello “atroce” [in italiano nell’articolo ndt] di pressione fiscale nella penisola. "Mario Monti ha restituito credibilità al paese, ma non può essere visto come il salvatore della patria. La sua riforma contro la corruzione rimane davvero modesta e non ha fatto molto contro l'evasione fiscale. Qualunque sia l'esito delle elezioni, rimarrà un grande protagonista della vita politica italiana", prevede comunque Matteo Renzi. "Tra Monti Grillo e ci sono solo io," conclude volentieri il sindaco di Firenze.
Con la sua faccia da prima comunione e certezze da vendere, il "Rottamatore" ha portato a termine, questo fine settimana in Sicilia, le fasi finali del suo Giro d'Italia. A prima vista, questo ex boy-scout, eletto sindaco di Firenze nel 2009, nelle liste del Partito Democratico, non ha nulla del rivoluzionario. Va a messa regolarmente e si fa il segno della croce prima dei pasti. Segno del destino? A diciannove anni, ha vinto 48 milioni di lire al quiz televisivo "La ruota della fortuna" andato in onda sul Canale 5 di Berlusconi. Laureato in Giurisprudenza, ha fatto la sua tesi sul politico antifascista di origine siciliana e ex "sindaco santo" di Firenze, Giorgio La Pira - il cui processo di canonizzazione è ancora in all’esame - prima di lavorare per l'azienda di famiglia di marketing fondata da suo padre. A differenza del comico Beppe Grillo, leader del movimento popolare 5 Stelle, Matteo Renzi fa parte del quadro politico tradizionale.



Ha conosciuto Tony Blair quando veniva in vacanza in Toscana. Anche se alcuni, come ad esempio l'editore Alessio Aringoli, autore di un pamphlet intitolato "Rottamatore Renzi" giudica il suo blairismo ritardato totalmente "superato", il suo modo di parlare e la sua foga seducono sia la sinistra che la destra. E' considerato uno dei tre sindaci più popolari d'Italia assieme a Luigi de Magistris a Napoli e Piero Fassino a Torino. Qualunque sia l'esito delle primarie del centro-sinistra del 25 novembre dove sarà lo sfidante ufficiale dell’attuale segretario generale del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani - davanti al governatore della Puglia, Nichi Vendola, apertamente gay - lo stile e il carisma di colui che a volte viene definito ironicamente il "Berlusconi di sinistra" lo hanno già fatto diventare un fenomeno a parte.
Completamente sconosciuto all’epoca della discesa in campo del “cavaliere” nel 1994, ovunque vada, si fa notare. E’ spigliato nella conversazione, anche se a volte ansima un po’. Da Firenze a Palermo passando per Roma o Milano, il"Rottamatore" ha fatto il pienone nei teatri e nei centri congressi dall'inizio del suo tour partito il 13 settembre da Verona. "Con Grillo, l'unica cosa che abbiamo in comune è che vogliamo un cambiamento radicale. Per il resto, siamo del tutto agli antipodi ", ha detto il sindaco di Firenze, il giorno dopo il successo del Movimento Cinque Stelle di Grillo che ha ottenuto il 18% dei consensi nelle ultime elezioni regionali in Sicilia, con una percentuale di astensione record (53%), dopo la sua attraversata a nuoto dello Stretto di Messina oggetto di un’intensa campagna mediatica. Nulla irrita più Matteo Renzi degli attacchi di Beppe Grillo che lo ha definito un "sindaco fantasma " che ha abbandonato la sua città "strangolata dal debito" per soddisfare le sue ambizioni nazionali. In definitiva, anche se il debito complessivo di Firenze è cresciuto del 20% in tre anni, arrivando a 753 milioni di euro (1.300 € pro capite), comunque resta al di sotto dei livelli di Torino (3.806 euro) o Milano (3348 euro). Matteo Renzi spesso ironizza sulla "stupidità" del "patto di stabilità" interno imposto ai comunisti italiani, che porta a rallentare i propri investimenti.


Il bacio avvelenato del "Cavaliere"
Ansioso di coltivare il suo stile casual, il "demolitore" non ha esitato recentemente a posare con suo padre Tiziano (un ex politico democristiano poi riconvertito nel Partito Democratico) per la copertina di "Chi", il popolare settimanale di Silvio Berlusconi. E' eclettico nelle sue amicizie, attingendo il suo sostegno in un vivaio variopinto composto da intellettuali eleganti, accademici fuori dalle righe, o imprenditori di successo. A partire dal suo "consigliere", Giorgio Gori, ex direttore di Canale 5 di Silvio Berlusconi, silenziosamente allontanato dallo staff ufficiale del canale televisivo, all’intellettuale toscano Edoardo Nesi, passando per la "star" degli fondi speculativi , il fondatore di Algebris, Davide Serra, l'uomo che aveva osato sfidare l'autorità del francese Antoine Bernheim alla guida dell'assicuratore Generali, nel bel mezzo dell’assemblea generale. Ma nella sua cerchia di appoggi può contare anche sulla la nuova guardia dei dirigenti imprenditoriali del made in Italy: l'inventore di Eataly a Torino, il megastore della cucina italiana, Oscar Farinetti, il patron di Technogym, Nerio Alessandri o il fondatore della Diesel, Renzo Rosso. Piace a questi imprenditori in cerca di una boccata d'aria fresca nel quadro politico italiano la cui vernice si sta screpolando.



"La finanza non è né buona né cattiva"

"Renzi sostiene le nostre idee sotto la bandiera del Partito Democratico. Questo è un bene! Se vince lui, vinciamo tutti " così ha dichiarato Silvio Berlusconi a metà settembre. Ma anche se la sua intenzione è quella di rivolgersi ai delusi del berlusconismo o della Lega Nord, raccogliendo consensi tra le file del centro destra, se necessario, il "Rottamatore" ha seccamente risposto che "Berlusconi sarà il primo a essere rottamato. "Il "Rottamatore" è capace di rimescolare le strade. Già nel dicembre 2010, la rivelazione della sua visita "segreta" nella villa privata di Silvio Berlusconi ad Arcore, ha seminato la confusione nelle file del Partito Democratico. Ancora oggi, Matteo Renzi deve giustificarsi spiegando che la sua visita rientrava nel normale dialogo istituzionale tra un capo di governo e un parlamentare e non si è trattato di un inciucio come un altro.
A Milano, la sua cena "raccolta fondi", organizzata con la partecipazione attiva dell’investitore Davide Serra, il 28 ottobre, ha fatto scalpore. Ha partecipato il fior fiore della finanza milanese, banchieri, assicuratori e capitani d'industria per la presentazione del programma economico del "Rottamatore". Tra i presenti: il "banchiere di Romano Prodi," ex capo di Goldman Sachs Europe, Claudio Costamagna, o Carlo Salvatori (Lazard) e Flavio Valeri (Deutsche Bank). La presentazione del fondatore di Algebris, in cui alcuni vedono la trama del programma economico del sindaco di Firenze, non dispiace alla finanza milanese. "Troppo debito e crescita insufficiente", tra i dieci mali che affliggono l'Italia, Serra elenca l'evasione fiscale e la mancanza di competitività, ma anche la "complessità del sistema fiscale" e il livello troppo elevato di spesa pubblica e dei salari del settore pubblico in cambio di un "livello di servizio antiquato."
Anche se il segretario generale del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, grande rivale di Matteo Renzi alle primarie, ironizza su i suoi amici finanzieri "con sede nelle Isole Cayman," il sindaco di Firenze continua e insiste. Per lui, "la finanza di per sé non è né buona né cattiva: spetta alla politica instradarla." Dal punto di vista universitario, può contare sul sostegno di economisti liberali come Pietro Ichino, specializzato nel mercato del lavoro o Luigi Zingales della Chicago Business School, attivista ardente del movimento trasversale Arrêtez le déclin (che Fermate il Declino), di Oscar Giannino che smantella regolarmente la politica di austerità di Mario Monti. "La concorrenza è il disinfettante necessario per liberare il paese dalla corruzione e dal clientelismo", dice convinto Luigi Zingales, considerato un potenziale ministro dell'Economia di Renzi, in caso di vittoria. "Matteo Renzi è una persona che si fa da sé. Ha una sua personalità. Non si fa imporre come deve comportarsi” dice sottovoce, però, lo scrittore e regista Alessandro Baricco, autore del bestseller", Seta ", anche lui stregato dal "Rottamatore ".
Il sindaco di Firenze, gode anche di una buona reputazione all'interno di Confindustria. Tuttavia, non perdona al capo della Fiat, Sergio Marchionne, di averlo definito una "brutta copia di Obama a capo di un paesino", in conseguenza della sua critica al piano di congelamento degli investimenti del produttore Torinese nella penisola. "Berlusconi è finito, ed è il primo a saperlo. Per venti anni, la sinistra italiana è stata contro Berlusconi. Dobbiamo chiudere la parentesi e parlare di futuro ", sospira oggi Matteo Renzi. Non c'è dubbio che le battute del "Rottamatore" dal forte accento toscano, intrigano e incantano alcuni delusi della politica tradizionale. "Che piaccia o no, ha ricordato al Partito Democratico la necessità di rivolgersi anche al centro e ai cattolici", dice in breve il direttore del "Corriere della Sera" Aldo Cazzullo. Ribelle o ammutinato? Le "Savonarola" in jeans ha ancora una lunga strada da percorrere.



Italiani che circolano su auto italiane ma con targhe bulgare

Ces Italiens qui roulent avec des plaques bulgares

Di Alexandre Lévy
Pubblicato in Francia il 5 novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

Per evitare tasse salate e imposte elevate, sempre più italiani immatricolano la propria auto in Bulgaria o in Romania e si moltiplicano i siti specializzati per venire incontro a questa loro piccola truffa.
Non è detto che la Bentley immatricolata a Sofia che è stata vista in centro a Milano sia di proprietà di un nuovo ricco bulgaro un po’ alticcio e nemmeno la BMW coupé di Plovdiv, che sfreccia a 160 km all’ora sulla tangenziale di Roma e infine neanche l’Audi targata Bucarest parcheggiata sotto un palazzo e che ha una sfilza di multe sul parabrezza. Secondo il quotidiano bulgaro 24 Tchassa (24 Ore) sono aumentati gli italiani che hanno capito quanto conviene comprare un’auto di lusso e immatricolarla in Bulgaria o Romania. Tutto ciò per eludere del tutto le tasse e le imposte locali che vengono applicate alle auto di grossa cilindrata. Secondo il giornale, basta osservare le strade di Milano e Roma – in particolare nei centri storici, ormai quasi tutti zona a traffico limitato – per rendersi conto dell’elevato numero di queste auto. “E’ evidente che i loro proprietari non sono ne’ bulgari, ne’ rumeni, ma si tratta di furbetti locali che se ne infischiano del codice della strada” aggiunge 24 Tchassa.




Compagnie locali di leasing si prestano a questo giochetto

Grazie a queste targhe bulgare o rumene, la dolce vita è ancora possibile. I controlli a distanza? A dirla tutta, le multe e tutti i verbali di contravvenzione non arrivano mai fino in Bulgaria, dove si dice comunemente che “è meglio aspettare una lettera che un morto”. A differenza degli altri proprietari d’auto d’oltralpe, gli autori di queste infrazioni non rischiano di perdere punti sulla patente. A meno che, un agente non contesti immediatamente l’infrazione, cosa che è sempre più rara a causa del moltiplicarsi dei sistemi di controllo radar o video.
Siti specializzati sono stracolmi di consigli e trucchi per ottenere questa ricetta magica; seguendo l’esempio di questa “Audi A6 targa bulgara” si trovano auto già immatricolate in Bulgaria in vendita direttamente in Italia. L’annuncio riporta in maniera molto chiara i vantaggi di quest’acquisto. Secondo questi scrocconi, la cosa migliore sarebbe intestare la propria auto all’amichetta bulgara o a un conoscente che risiede nel paese. Oppure, grazie a una rete d’informatori, che pronto cassa, riescono sempre a trovare qualcuno in Bulgaria disposto a dare una mano, precisa 24 Tchassa. A volte sono persino le stesse compagnie di leasing locali che si prestano a questo gioco. Secondo la normativa italiana, i proprietari di auto immatricolate all’estero hanno un anno di tempo per registrare il proprio veicolo nel paese, superato il quale, rischiano da 80 a 318 euro di multa. Ma, visti i vantaggi, tutti preferirebbero correre questo rischio, secondo il giornale bulgaro. “Non ci sono foto” scrive anche 24 Tchassa, o almeno se ci sono non arriveranno mai in Bulgaria …

Gli slogan razzisti di un eurodeputato italiano accolti con un’ovazione

Les propos racistes d’un député européen ovationnés

Pubblicato in Svizzera il 3 novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

L’italiano Mario Borghezio, della Lega Nord, al grido “Viva i bianchi d’Europa!” e “Viva la nostra razza!”, è stato accolto con un’ovazione al congresso di un movimento di estrema destra nel sud della Francia.







Un eurodeputato della Lega Nord, l’italiano Mario Borghezio, è stato acclamato con un’ovazione al congresso di un movimento di estrema destra a Orange, a sud di Lione. Abituato alle cadute di stile, ha urlato dalla tribuna: “Viva i bianchi d’Europa!”, “Viva la nostra razza!”. Mario Borghezio era ospite al congresso di Bloc Identitaire, un movimento francese di estrema destra fondato nel 2002 e specializzato nell’attivismo su Internet, che conta 2 000 iscritti. Borghezio, parlando in francese, ha prima manifestato il suo gradimento per gli occhi azzurri delle donne: “Azzurri in un popolo che vuole restare bianco”, poi ha urlato, sopra le ovazioni, “Viva i bianchi d’Europa, viva la nostra identità, la nostra etnia, la nostra razza!”






“Fierezza locale”
Prima di lui, il presidente del Bloc Identitaire, Fabrice Robert, se l’è presa dal palco contro la legge francese, che punisce in particolar modo l’incitamento all’odio razziale, considerando la norma uno strumento per “spazzare via ogni espressione di fierezza locale […] per far mandar giù la pillola dell’invasione migratoria”. Il movimento giovanile del Bloc Identitaire, Génération Identitaire, ha fatto parlare di sé recentemente, quando il 20 ottobre ha occupato il cantiere di una moschea in costruzione a Poitiers, dove, secondo la storia, nel 732 Carlo Martello arrestò l’invasione degli eserciti arabi in Europa.

lunedì 5 novembre 2012

Psicodramma intitolato Berlusconi

"Psychodrame", "Le Pen italien", la presse italienne achève Berlusconi

di Marcelle Padovani
Pubblicato in Francia il 28 Ottobre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

Secondo quanto si legge nei giornali, il Cavaliere ha perso la sua superbia e le sue roboanti dichiarazioni non cambieranno nulla.

Berlusconi in Conferenza Stampa

Pensavamo che si fosse ritirato dagli affari, in qualche villa lussuosa ai Caraibi, in pantofole e finalmente felice, a 76 anni, di potersi godere le sue immense ricchezze (visto che mercoledì sera aveva comunicato agli italiani di non volersi candidare come premier alle prossime elezioni politiche), ma in realtà Silvio Berlusconi si era rintanato nei dintorni del Lago di Como, attendendo con viva preoccupazione la sentenza del tribunale di Milano sul processo Mediaset. Appena emessa la decisione dei giudici, eccolo che mette in moto nuovamente le sue forze e convoca alla svelta una conferenza stampa improvvisata nella sua villa di Cernetto. Nelle ventiquattr’ore che seguono, fa di tutto per dare l’impressione che rimarrà sulla scena politica, che combatterà duramente la magistratura, che farà la riforma della Costituzione e che abolirà l’ICI reintrodotta dal governo Monti.
Berlusconi e il suo "delfino" Angelino Alfano

Ma con quale partito? Quale coalizione? Ma soprattutto a quale titolo? Mistero. Ecco che il giorno seguente alle sue roboanti dichiarazioni, leggendo i giornali italiani sarà stato certamente costretto a fare un bilancio doloroso della sua credibilità personale, oltre che delle sue ambizioni: [le sue parole] sono state tiepidamente accolte un po’ dappertutto, raffreddate dall’idea del suo eventuale “ritorno” in campo.
Che cosa gli viene rimproverato? Prima e soprattutto, l’immagine. Desolante. Lui, sempre così attento al suo aspetto, ha osato presentarsi con il volto estremamente contratto, senza neanche un accenno di sorriso o di minima umanità. Poi il suo discorso punteggiato di esitazioni e sospiri. Un discorso da pugile KO, proprio ciò che nel mondo del berslusconismo viene definito una cattiva prestazione. L’editorialista del giornale “Pubblico”, Luca Telese, riempie il suo commento di “hem- hem”, come se anche lui avesse avuto delle esitazioni nello scrivere l’articolo. “Durante questi 50 minuti di televisione araba” aggiunge” “è scoppiato lo psicodramma”, le minacce berlusconiane “sono apparse per quello che erano: dei petardi bagnati”. E conclude: “Non era il ritorno dell’ora legale, ma dell’ora surreale”. E non è l’unico a scegliere la via della critica.

Ipotesi di accordo con la Lega?

L’editorialista del “Corriere della Sera” andando al di là delle impressioni superficiali e del giudizio meramente estetico della prestazione, parla di “un regolamento di conti, messo in atto “come segno di disperazione” come se Berlusconi avesse voluto vendicarsi di quelli che “hanno complottato contro la sua persona”. Nell’ordine: la magistratura italiana che secondo lui ha instaurato una dittatura giudiziaria che lui battezza con il nome di “magistratocrazia”; le potenze europee, in particolare la Germania e la Francia, con i loro leader (o ex leader) Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, che hanno tentato di screditarlo in campo internazionale. Ma il giornale di famiglia pubblica un avvertimento, è tempo per il partito di Berlusconi di “prendere le distanze dal suo fondatore” di “sbarazzarsi del padre” e di cercare di “conquistare il voto dei moderati”.

Le Pen padre e figlia

Il voto moderato? Siamo ben lontani. Anche il quotidiano della Confindustria “Il Sole 24ore”, pone dei dubbi sulla nuova linea dura dell’ex Presidente del Consiglio. Il suo editorialista, Stefano Folli lo dice chiaramente definendolo “Un leader solo”: “Siamo, con tutta evidenza, molto al di là della logica politica. L'uomo che qualche settimana fa era stato convinto a incoraggiare la svolta moderata del suo partito, ora vorrebbe proporsi all'improvviso, all'età di 76 anni, come una sorta di Le Pen italiano”. È uno spettacolo anche drammatico perché a interpretarlo è un uomo sofferente: un uomo destabilizzato dai giudici, messo alle corde, ormai privo di lucidità”. Non è mai successo che si siano lette frasi così definitive sul quotidiano degli imprenditori.
Oltre a questi giudizi così eccezionalmente severi da parte dei media italiani, si aggiunge l’imbarazzo dei dirigenti e dei militanti del partito di Berlusconi. Brividi di paura scuotono i berlusconiani e quasi tutti hanno evitato di fare commenti ufficiali sulle proposte del proprio leader. Proprio come l’Associazione Giovani Imprenditori, riunita a Capri per il congresso annuale. Le telecamere hanno ripreso le grandi risate che ha scatenato nella futura classe imprenditoriale italiana, non possono non invitare Berlusconi ad una riflessione critica sulla sua posizione. Poichè stavolta, sarebbe proprio meglio che vada a stare in un bel “resort” di qualche amico in Kenya.

Indignazione ingiustificata a L'Aquila

L'Aquila : pourquoi l'indignation n'est pas justifiée


di Marcelle Padovani
Pubblicata in Francia il 23 ottobre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

E ci fossero ulteriori motivazioni non espresse riguardo la condanna dei membri della Commissione Grandi Rischi? Qualcuno in Italia lo pensa

Mentre il mondo politico italiano e esperti di ogni settore si indignano ed elencano una serie di dichiarazioni in riferimento alla sentenza della magistratura italiana sul sisma che ha colpito L’Aquila il 6 aprile 2009, qualcuno tenta di approfondire la questione. Secondo questi l'indignazione non ha tutti i motivi per essere giustificata: i sei anni di reclusione comminati ai membri della Commissione Grandi Rischi, oltre all’interdizione dai pubblici uffici, sono ampiamente motivati. Ecco perchè.
I del terremoto dell'Aquila nel 2009

Rassicurare subito gli abitantiIniziamo con questa condanna apparentemente rocambolesca dei sette membri della Commissione - che dipendono direttamente dalla Protezione Civile - non solo alla pena detentiva, ma anche al pagamento di 7 milioni di euro per danni materiali e morali alle 300 vittime del sisma dell’Aquila. Queste sette persone, tutti esimi esperti in vulcanologia, sismologia, innondazioni, tettonica, si erano riuniti in commissione il 31 marzo del 2009, convocati dal Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Da settimane leggere scosse, complessivamente più di 400, sconvolgevano la tranquillità della provincia dell’Aquila. La popolazione, sebbene abituata a vivere in una zona sismica, cominciava a dare segni di preoccupazione.
Il responsabile della Protezione Civile, su richiesta del governo Berlusconi, decide che è ora di tranquillizzare la popolazione, decisamente un po’ allarmista. Di fretta e furia i sette esperti concludono che all’Aquila e dintorni non c’è alcun pericolo, escludendo qualsiasi ipotesi di disastro. Quindi secondo i magistrati forniscono “informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, le cause, il pericolo e gli sviluppi futuri dell’attività sismica in corso”. Una vera sfortuna per questi esimi esperti: cinque giorno dopo, un sisma dalla forza devastante distrugge il centro storico dell’Aquila e seppellisce 300 persone.

Un coro di protesteSubito dopo la pronuncia della sentenza, si leva un coro di proteste su tutti i media. Argomento: “Come si possono condannare degli uomini di scienza, nel paese di Galileo, accusandoli di non essere in grado di prevedere un terremoto, quando tutti gli scienziati del mondo confermano prove alla mano che non si possono prevedere i terremoti con più di cinque giorni di anticipo? E’ un’assurdità e una vergogna. Questo avrà delle conseguenze in futuro, nessun esperto accetterà più di fare parte di commissioni per la valutazione dei rischi”.
Storie del genere, se ne possono leggere in tutti i giornali, sia di destra che di sinistra, e persino sulla stampa internazionale, che si è quasi mobilitata in difesa dei “poveri membri” della Commissione Grandi Rischi della penisola “così ingiustamente perseguitati”.

L'Aquila oggi, il cimitero nel 2012

Hanno ragione?
Ma due voci autorevoli emergono invitando a riflettere in maniera più ponderata. Inizialmente l’ex presidente della Provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane che dichiara all’emittente Rainews: “Ci è voluto un bel po’ di coraggio per scrivere questa sentenza e i giudici lo hanno avuto. Ricordo che all’epoca io ho denunciato personalmente la superficialità della Commissione. Se questa non avesse tranquillizzato ad ogni costo la popolazione, su ordine del governo [di allora], gli aquilani sottoposti alle continue scosse [dei giorni precedenti], sarebbero scesi in strada la famosa notte del 6 aprile e si sarebbe potuto evitare una gran parte delle 300 vittime. Questo è chiaro”.
Ma il giurista Stefano Rodotà è ancora più chiaro e scrive sul quotidiano La Repubblica che “non stiamo assistendo ad un processo contro la scienza” ma ad un’accusa contro delle persone che “sono state convocate di fretta e furia la mattina del 31 marzo” per adempiere a questo atto amministrativo “contraddittorio e rassicurante” senza tener conto dei reali pericoli. E’ un bene, conclude Rodotà, che il principio della responsabilità personale sia stato ribadito grazie a questa sentenza choc. Un principio che porterà delle conseguenze in occasione delle tragedie (eruzioni, innondazioni, incendi, valanghe e sismi) che potrebbero avvenire in futuro”.